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Cassazione n. 26286 del 17/10/19: l’ennesima occasione persa per fare chiarezza?

Cassazione_civile_sez_III_26286_2019 È stata pubblicata da pochissimi giorni rispetto al momento in cui scriviamo e già sta facendo discutere molto l’ultima pronuncia della Cassazione in tema di usura nei mutui. Gli aspetti su cui si è espressa la Corte sono tra i più dibattuti dell’ultimo decennio per quanto concerne i mutui bancari: concetto di cumulo degli interessi, […]

Cassazione_civile_sez_III_26286_2019

È stata pubblicata da pochissimi giorni rispetto al momento in cui scriviamo e già sta facendo discutere molto l’ultima pronuncia della Cassazione in tema di usura nei mutui.

Gli aspetti su cui si è espressa la Corte sono tra i più dibattuti dell’ultimo decennio per quanto concerne i mutui bancari: concetto di cumulo degli interessi, usurarietà degli interessi di mora e relativa sanzione, clausola di salvaguardia.

Su alcuni di questi aspetti la pronuncia qui esaminata ha offerto interessanti indicazioni, mentre su altri la Suprema Corte lascia perplessi e stupiti.

Procedendo ad una rapida disamina, riteniamo di poter fare le seguenti osservazioni a questa pronuncia, con l’auspicio di offrire un piccolo contributo al dibattito.

1) Finalmente la Cassazione chiarisce cosa debba intendersi per cumulo e in quali termini possa ritenersi lecito. Innanzi tutto, è stato sgombrato il campo da possibili dubbi laddove si afferma che «quando il tasso degli interessi moratori contrattualmente è determinato maggiorando il saggio degli interessi corrispettivi di un certo numero di punti percentuale, solo impropriamente è possibile parlare di “cumulo”. In realtà, non si tratta della contemporanea percezione di due diverse specie di interessi. La banca percepisce soltanto gli interessi moratori, il cui tasso è, però, determinato tramite la sommatoria innanzi descritta».

Inoltre, la Cassazione ribadisce un concetto talvolta mal interpretato nelle aule di Tribunale affermando che «una volta costituito in mora, gli interessi che il cliente è tenuto a corrispondere hanno tutti natura moratoria, a prescindere dai criteri di determinazione del tasso convenzionale di mora. Ed è così sia nel caso in cui il rapporto sia stato definitivamente “chiuso” sia quando il rapporto è ancora pendente.

Del resto, l’art. 1383 cod. civ., in tema di clausola penale (cui, come abbiamo visto, può essere assimilata la determinazione degli interessi di mora), prevede che “il creditore non può domandare insieme la prestazione principale e la penale, se questa non è stata stipulata per il semplice ritardo”. Pertanto, non vi è dubbio che gli interessi non possano essere richiesti insieme a quelli moratori. Salvo a voler considerare che gli interessi corrispettivi di mora corrispondano al solo spread nel caso di ritardo e siano, invece, pari alla somma dello spread con il saggio degli interessi corrispettivi in caso di “chiusura” del rapporto; soluzione interpretativa, quest’ultima, malamente collimante con il tenore testuale dell’art. 1224 cod. civ. e con la formulazione delle clausole della maggior parte dei contratti bancari».

2) Chiarito questo primo passaggio, la Cassazione tenta di risolvere la questione relativa alla usurarietà degli interessi moratori, affermando che «giurisprudenza di questa Corte non ha mai dubitato dell’applicabilità del “tasso soglia” anche alla pattuizione degli interessi moratori […] e che in senso analogo, peraltro, si è pronunciata anche la Corte Costituzionale (Corte cost., Sentenza n. 29 del 2002)».

Ma poi stabilisce che per verificare l’usura oggettiva si debba utilizzare, quale parametro di riferimento per gli interessi di mora, la maggiorazione del 2,1%.

Si tratta, a nostro sommesso parere, di un clamoroso autogoal commesso dalla Cassazione, in quanto la famigerata maggiorazione del 2,1% è una mera rilevazione statistica introdotta dalla Banca d’Italia nel 2001 sulla base di parametri del tutto indefiniti. Infatti, non è dato sapere né quanto tempo sia durata questa rilevazione d’indagine né quali e quanti tipi di contratti siano stati presi a campione.

Sul punto, ad esempio, si è già espresso il Tribunale di Milano (sent. n. 1242 del 29.01.2015) sancendo che “La rilevazione statistica condotta a partire dal 2001 e trasfusa al punto 4) dei DM trimestrali, recante la maggiorazione media a titolo di mora (2,1 punti percentuali) non può rilevare quale indice oggettivo ai fini della valutazione di usurarietà, siccome mai commissionata dal Ministero del Tesoro. (…) “detta rilevazione, oltre a essere “ufficiosa”, in quanto condotta in assenza di una istruzione in tal senso disposta dal Ministero delle Finanze in attuazione a quanto dettato dalla Legge 108/1996, non può considerarsi neppure scientificamente attendibile, non essendo conosciute le modalità di rilevazione statistica utilizzate e, al contrario, risultando essere stata condotta attraverso l’acquisizione di dati a campione””.

Per di più, solo nel 2017 questo valore è stato rivisto ed abbassato all’1,9% (per i mutui ipotecari ultraquinquennali).

Questa conclusione appare ancora più assurda se si pensa che dodici mesi prima la stessa Corte ha rinnegato la validità di una soglia specifica per la mora affermando che «il riscontro dell’usurarietà degli interessi convenzionali moratori va compiuto confrontando puramente e semplicemente il saggio degli interessi pattuito nel contratto col tasso soglia calcolato con riferimento a quel tipo di contratto, senza alcuna maggiorazione od incremento: è infatti impossibile, in assenza di qualsiasi norma di legge in tal senso, pretendere che l’usurarietà degli interessi moratori vada accertata in base non al saggio rilevato ai sensi dell’art. 2 l. 108/96, ma in base ad un fantomatico tasso talora definito nella prassi di “mora-soglia”, ottenuto incrementando arbitrariamente di qualche punto percentuale il tasso soglia».

È evidente, quindi, la contraddizione in cui è caduta la Cassazione dando rilievo ad un valore privo di alcuna attendibilità.

3) Inoltre, la Cassazione cerca di far chiarezza sulla sanzione conseguente all’accertata usurarietà oggettiva del contratto affermando che questa fattispecie determina la nullità della clausola ai sensi dell’art. 1815 secondo comma cod. civ. (secondo cui non sono dovuti interessi).

Benché sembri indicata in modo preciso la sorte del contratto usurario, tuttavia, resta il dubbio (su cui fanno leva alcune Corti di merito) se la nullità debba riguardare la sola clausola degli interessi di mora (che quindi non sarebbero dovuti) oppure se possa estendersi all’intero contratto.

Al riguardo, esemplificativamente, facciamo richiamo alla sentenza del 31.12.2018 n. 1943 del Tribunale di Pescara. Secondo il Tribunale abruzzese “se il superamento del tasso soglia in concreto riguarda solo gli interessi moratori la nullità ex art. 1815 secondo comma c.c. colpisce unicamente la clausola concernente i medesimi interessi moratori, senza intaccare l’obbligo di corresponsione degli interessi corrispettivi convenzionalmente fissati al di sotto della soglia. Tali conclusioni, in assenza di convincente giurisprudenza di legittimità sul punto, sono coerenti con la maggioritaria giurisprudenza di merito edita, alla quale qui si intende dare continuità (cfr. Trib. Palermo 12/12/2014; Trib. Treviso 9/12/2014 e 11/4/2014; Trib. Brescia 24/11/2014; Trib. Cremona ord. 30/10/2014; Trib. Taranto ord. 17/10/2014; Trib. Venezia 15/10/2014; Trib. Roma 16/9/2014; Trib. 22/5/2014 e ord. 28/1/2014; Trib. Verona 30/4/2014; Trib. Trani 10/3/2014; Trib. Napoli 28/1/2014. Contra e nel senso invocato dagli opponenti, cfr. però App Venezia n. 342/2013; Trib. Udine 26/9/2014; Trib. Parma ord. 25/7/2014; Trib. Padova 8/5/2014 e, come sin qui esposto, Trib. Reggio Emilia 11° n. 304 del 24.2.2015 e tribunale Lecce 25.9.2015 DT 4550 Tribunale Novara 8.10.2015)”.

Da ciò traspare come la non limpidissima formulazione della norma e il suo richiamo letterale non aiutino a risolvere in modo radicale il problema, lasciando che si possano avere interpretazioni difformi (ad esempio, secondo Trib. Palermo n. 3698 del 26.07.2019 “fin quando le banche inseriranno i tassi di mora superiori al tasso soglia, non potrà che derivare la nullità dell’intero regolamento contrattuale degli interessi, stante che lo sbilanciamento che deriva dalla nullità della clausola degli interessi moratori comporta il necessario ricalcolo dell’intero mutuo al tasso di legge”).

4) La Cassazione afferma che «l’invalidità della pattuizione, comminata dall’art. 1815, secondo comma, cod. civ., si sovrappone al rimedio della reductio ad aequitatem, comunque possibile per gli interessi convenzionali di mora. Gli stessi, infatti, assolvono alla funzione di una clausola penale (art. 1382 cod. civ.), in quanto consistono nella liquidazione preventiva e forfettaria del danno da ritardato pagamento. […] L’art. 1384 cod. civ., invece, consente al giudice di intervenire tutte le volte in cui ritiene l’eccessività del saggio di mora convenuto fra le parti, a prescindere dalla circostanza che oltrepassi o sia attestato al di sotto del “tasso soglia”».

Da queste affermazioni si comprende come il Supremo Collegio abbia voluto dar nuovo vigore alla figura della “usura soggettiva”, consentendo al giudice di ridurre la misura degli interessi dovuti laddove la stessa sia ritenuta eccessiva, benché entro soglia.

Per quanto possa apparire apprezzabile l’intervento della Cassazione, in un’ottica di riequilibrio sociale dei rapporti tra le parti, tuttavia non si può far a meno di pensare che questo istituto troverà raramente applicazione. Infatti, se ancora permane la difficoltà nel far accettare a buona parte della giurisprudenza l’idea dell’usurarietà degli interessi di mora, appare improbabile che gli stessi Giudici possano ridurre equitativamente degli interessi che siano stati pattuiti comunque in misura inferiore alla soglia di usura.

5) L’ultima questione affrontata dalla sentenza in commento è quella relativa alla validità della cd. clausola di salvaguardia. A parere della Cassazione si tratta di una pattuizione valida e che non presenta profili di contrarietà a norme imperative (eppure la stessa S.C., I sez., 22.6.2016, n. 12965 aveva affermato l’esatto contrario).

Tuttavia, a detta della Corte «con la “clausola di salvaguardia” la banca si obbliga contrattualmente ad assicurare che, per tutta la durata del rapporto, non vengano mai applicati interessi che oltrepassino il “tasso soglia”. La “contrattualizzazione” di quello che è un divieto di legge non è priva di conseguenze sul piano del riparto dell’onere della prova. Infatti, se l’osservanza del “tasso soglia” diviene oggetto di una specifica obbligazione contrattuale, alla logica della violazione della norma imperativa si sovrappone quella dell’inadempimento contrattuale, con conseguente traslazione dell’onere della prova in capo all’obbligato, ossia alla banca».

A ben vedere, questa interpretazione può apparire corretta, dal momento che impone comunque di verificare l’effettiva operatività di questa clausola. Infatti, non sarebbe accettabile una previsione che, senza alcun controllo concreto, pretenda di rendere sempre e comunque legittimi gli interessi pattuiti.

In questo modo, invece, la banca sarà tenuta a dimostrare di essersi attenuta alle previsioni contrattuali e di non aver oltrepassato la soglia usuraria.

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Tirando le fila del discorso, non possiamo fare a meno di notare come la Cassazione, da un lato, abbia perso l’occasione per dirimere alcune questioni interpretative (sanzione per gli interessi di mora usurari) e, dall’altro, abbia sposato tesi (quale l’applicazione della maggiorazione del 2,1%) incomprensibili e prive di concreti appigli normativi.

Purtroppo, tutto ciò contribuirà a mantenere variegato ed incerto il panorama giurisprudenziale, determinando una tutela per i mutuatari a “macchia di leopardo”, a seconda della maggiore o minore sensibilità dei vari Tribunali alle ragioni delle banche.

Tuttavia, non sono mancati spunti interessanti, quali la definitiva (si spera) rilevanza degli interessi di mora ai fini dell’usurarietà e la necessaria verifica sulla corretta applicazione della cd. clausola di salvaguardia.