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Notifiche telematiche: ReGindE, Ini-pec e gli altri pubblici registri utilizzabili

Premessa Come ben sappiamo, la Legge riconosce agli avvocati la possibilità di effettuare in proprio notifiche di atti giudiziari sia in formato analogico (mediante il servizio postale) che telematica (mediante la posta elettronica certificata). Proprio con riguardo a quest’ultima modalità, l’art. 3 bis della Legge 53 del 1994 prevede che “La notificazione con modalità telematica […]

Premessa
Come ben sappiamo, la Legge riconosce agli avvocati la possibilità di effettuare in proprio notifiche di atti giudiziari sia in formato analogico (mediante il servizio postale) che telematica (mediante la posta elettronica certificata).
Proprio con riguardo a quest’ultima modalità, l’art. 3 bis della Legge 53 del 1994 prevede che “La notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi….” e che tra gli elementi che la relata di notifica deve contenere vi è anche “l’indicazione dell’elenco da cui il predetto indirizzo è stato estratto”.
Negli ultimi tempi il dibattito si è incentrato su quali registri utilizzare per individuare gli indirizzi di posta elettronica dei destinatari delle notifiche.

Dibattito giurisprudenziale e individuazione dei pubblici registri degli indirizzi di posta elettronica certificata
Da quando è intervenuta la pronuncia n. 3709/2019 del 08.02.2019, alcune delle certezze degli avvocati relativamente alle notifiche effettuate mediante l’utilizzo della posta elettronica certificata sono bruscamente svanite.
Infatti, fino a quel momento la maggior parte dei difensori provvedeva ad acquisire gli indirizzi pec dei destinatari utilizzando indistintamente sia il registro generale degli indirizzi elettronici (ReGIndE) gestito dal Ministero della giustizia sia l’Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INI-PEC), se non anche il Registro delle Imprese (gestito dalle CCIAA).
Con la suddetta pronuncia, invece, la Cassazione ha affermato il seguente principio di diritto: “Il domicilio digitale previsto dal D. L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, conv. con modif. in L. n. 221 del 2012, come modificato dal D. L. n. 90 del 2014, conv., con modif., in L. n. 114 del 2014, corrisponde all’indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza e che, per il tramite di quest’ultimo, è inserito nel Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (ReGIndE) gestito dal Ministero della giustizia. Solo questo indirizzo è qualificato ai fini processuali ed idoneo a garantire l’effettiva difesa, sicché la notificazione di un atto giudiziario ad un indirizzo PEC riferibile – a seconda dei casi – alla parte personalmente o al difensore, ma diverso da quello inserito nel ReGIndE, è nulla, restando del tutto irrilevante la circostanza che detto indirizzo risulti dall’Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INI-PEC)”.
Invero, il principio sembrerebbe riferito esclusivamente ai casi in cui il destinatario della notifica sia un avvocato.
Tuttavia, il passaggio in cui la S.C. afferma che si tratti di “un indirizzo PEC riferibile – a seconda dei casi – alla parte personalmente o al difensore” lascia spazio anche ad altre interpretazioni.
A confutazione di questa conclusione, in ogni caso, va osservato come ai sensi del DM 44/2011, il ReGIndE contenga i dati identificativi nonché l’indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) dei soggetti abilitati esterni, che possono essere:
– pubblici (gli avvocati, i procuratori dello Stato e gli altri dipendenti di amministrazioni statali, regionali, metropolitane, provinciali e comunali);
– privati (i difensori delle parti private, gli avvocati iscritti negli elenchi speciali, gli esperti e gli ausiliari del giudice).
Dunque, non si parla di persone fisiche o di imprese o di pubbliche amministrazioni.
E infatti, l’art. 7 comma 5 del DM 44/2011 afferma che “Per le imprese, gli indirizzi sono consultabili, senza oneri, ai sensi dell’articolo 16, comma 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito nella legge del 28 gennaio 2009 n. 2”, ovvero attraverso il Registro delle Imprese.
Tanto dovrebbe bastare per affermare che la consultazione del ReGindE sarebbe obbligatorio solo nel caso in cui destinatari siano avvocati o altri soggetti abilitati esterni.
Diversamente, negli altri casi (ditte individuali, persone fisiche, società o pubbliche amministrazioni) si può far riferimento ad altri registri ed elenchi.
Tra questi si può annoverare anche l’Indice nazionale degli indirizzi PEC delle imprese e dei professionisti (INI-PEC), in quanto esso “è realizzato a partire dagli elenchi di indirizzi PEC costituiti presso il registro delle imprese e gli ordini o collegi professionali, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 16 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2” (D. Lgs. 82/2005 art. 6 bis).
Dunque, INI-PEC più che essere un autonomo registro, può essere visto come un raccoglitore di altri registri dove reperire gli indirizzi pec di professionisti e imprese.
Così analizzata la normativa di settore, sembrerebbe sgomberato il campo da ogni equivoco.
E in quest’ottica possiamo comprendere come forse la Cassazione non abbia propriamente dequalificato un registro in favore di un altro.
Infatti, con l’ordinanza 24160/2019 del 27.09.2019 ha ribadito pedissequamente il principio già sancito con la pronuncia n. 3709/2019 del 08.02.2019 (relativamente alla ricerca di indirizzi di avvocati e professionisti).
Nel contempo, non sono mancate pronunce di segno contrario provenienti dallo stesso S.C. (Cass. ord. n. 9893/19 e 9897/19 del 09.04.2019 che hanno espressamente sancito come l’atto sia “ritualmente notificato […] all’indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) della debitrice – [omissis] risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INIPEC) istituito dal Ministero dello Sviluppo Economico”).
Ad ulteriore conferma, di questo indirizzo è sopraggiunta da ultimo anche la pronuncia n. 29749/19 del 14.11.2019 con cui la Suprema Corte ha corretto la precedente ordinanza n. 24160/2019 del 27.09.2019, concentrandosi principalmente sulla presunta “inidoneità soggettiva” dei singoli registri (in particolare INI-PEC e ReGindE), laddove essi non contengano determinati indirizzi di posta elettronica certificata.

Quali registri utilizzare?
Alla luce di quanto fin qui evidenziato, possiamo affermare che i registri vanno distinti a seconda della qualifica soggettiva del destinatario. Pertanto:
– per avvocati e professionisti iscritti in albi o appartenenti a pubbliche amministrazioni, esperti ed ausiliari del giudice va utilizzato il ReGindE;
– per le imprese va consultato il registro delle imprese;
– per le pubbliche amministrazioni va utilizzato il Registro degli indirizzi elettronici delle Pubbliche Amministrazioni (IPA), gestito dal Ministero della giustizia;
– per i privati cittadini l’art. 6 quater D.Lgs 82/2005 ha previsto l’Indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato, non tenuti all’iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese, ma non è stato ancora istituito;
– l’Indice Nazionale INI-PEC, ricomprendendo più registri pubblici, a sua volta, potrebbe ben assolvere la funzione di pubblico registro utilizzabile sia per gli indirizzi pec di professionisti che imprese.

Possibili soluzioni
A questo punto, quali operatori del diritto dovremmo domandarci quali risvolti pratici debbano avere tutte queste considerazioni fatte dalla Cassazione.
Innanzi tutto, l’art. 11 della Legge 53 del 1994 stabilisce che “Le notificazioni di cui alla presente legge sono nulle e la nullità è rilevabile d’ufficio, se mancano i requisiti soggettivi ed oggettivi ivi previsti, se non sono osservate le disposizioni di cui agli articoli precedenti e, comunque, se vi è incertezza sulla persona cui è stata consegnata la copia dell’atto o sulla data della notifica”.
A questa norma, però, fa da contraltare il principio generale sancito dall’art. 156 c.p.c. secondo cui “La nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”.
In seconda battuta, laddove non vi fosse la prova assoluta che l’atto abbia raggiunto il proprio scopo, ad esempio poiché il destinatario non si è costituito in giudizio, bisogna verificare la riconducibilità dell’indirizzo pec alla persona (fisica o giuridica) a cui è rivolta la notifica.
Solo in caso di non corrispondenza si porrebbe il problema di comprendere quale sia il reale indirizzo di posta elettronica certificata del soggetto in questione.
In un simile contesto, e per puro spirito di praticità, il ruolo dei pubblici registri potrebbe passare in secondo piano. Se infatti un indirizzo si può rinvenire in più elenchi e/o registri, perché preoccuparsi (come ha fatto la Cassazione nei suoi arresti più recenti) della loro “idoneità soggettiva”? L’importante è che si tratti di registri riconosciuti dalla legge.
Purtroppo, però, dinanzi ad uno scenario giurisprudenziale caratterizzato da interpretazioni eccessivamente formalistiche e poco propense a verificare in modo pratico se la notifica abbia raggiunto o meno il proprio scopo di far conoscere l’atto al destinatario, occorre muoversi con molta cautela, cercando di individuare di volta in volta il pubblico registro più idoneo o, magari, citandone più d’uno, ove possibile (ad esempio ReGindE o Registro delle Imprese e Ini-pec).
Tuttavia, non è da escludere che uno stesso soggetto possa disporre di più indirizzi di posta elettronica certificata. Infatti, può capitare che professionisti e imprese siano costantemente alle prese con una capacità di memoria della pec alquanto ridotta e, quindi, decidano di attivare altri indirizzi per scopi ben determinati (ad esempio per canalizzare solo le fatture elettroniche o la corrispondenza, utilizzando la vecchia pec per le comunicazioni di cancelleria).
In questo caso, essendo in presenza di più indirizzi riconducibili al medesimo soggetto, sarebbe opportuno far riferimento solo a quello risultante dai pubblici registri riconosciuti per legge.
Invece, per le persone fisiche che non rientrino in altre categorie, mancando ancora un pubblico registro ad hoc, sarebbe preferibile non utilizzare lo strumento della notifica mediante pec, non essendovi modo, allo stato attuale, per dimostrare la correttezza dell’indirizzo e la sua riferibilità a quel determinato soggetto (con conseguente rischio di nullità della notifica).
Tuttavia, possono capitare anche in questo caso delle situazioni atipiche. Ad esempio, un comune cittadino che svolga come seconda attività quella di amministratore di condominio potrebbe attivare un indirizzo pec per questo scopo. Tuttavia, il suo indirizzo potrebbe non risultare da alcun pubblico registro e, quindi, sarebbe sconsigliabile notificargli atti giudiziari.
In una situazione simile, tutt’al più, si potrebbe ipotizzare che il notificante abbia già ricevuto comunicazioni da quell’indirizzo di posta elettronica (ad esempio per contestare una lettera messa in mora o per l’invio di un verbale di assemblea) e, quindi, si avrebbe una prova indiretta e ufficiosa della riconducibilità di quella pec ad un determinato soggetto.
Si tratta, in ogni caso, di una soluzione che potrebbe scontrarsi con i formalismi normativi, visto che il citato art. 11 della Legge 53 del 1994 sanziona con la nullità il mancato rispetto dei requisiti soggettivi e oggettivi ivi previsti (nell’oggetto la dizione: «notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994»; e poi la relazione di notificazione deve contenere: a) il nome, cognome ed il codice fiscale dell’avvocato notificante; c) il nome e cognome o la denominazione e ragione sociale ed il codice fiscale della parte che ha conferito la procura alle liti; d) il nome e cognome o la denominazione e ragione sociale del destinatario; e) l’indirizzo di posta elettronica certificata a cui l’atto viene notificato; f) l’indicazione dell’elenco da cui il predetto indirizzo è stato estratto; g) l’attestazione di conformità di cui al comma 2).

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